Maria Froncillo Nicosia

II cammino che Vincenzo Rizzo ha percorso dalla sua prima mostra nel piccolo spazio del “Gabbiano”, è stato come la corsa veloce e sicura di una freccia lanciata senza esitazioni verso il suo bersaglio. Le immagini appartengono a questo itinerario che egli snoda alla ricerca di se stesso, nel drammatico racconto della solitudine che si porta dentro e che diviene appunto, nell’espressione del suo linguaggio lacerante, fatto creativo e momento della sua crescita interiore. Quanto a me, posso dire d’essere orgogliosa e felice d’averlo vicino e amico, convinta, più che mai, nel e proporlo d’aver scelto proprio nella sua persona, l’artista che si incammina verso una meta sicura e che “non si volta”, poiché, come scrisse Leonardo, “a stella è fisso”. Le mie sensazioni, dal momento che solo di queste riesco a parlare, non avendo mai indossato (ne mai progettato di farlo) l’abito del critico, sono così varie e sconvolgenti di fronte a queste disperate creature di Vincenzo Rizzo, che a volte mi appare che la mia stessa vita sia stretta dentro questo racconto di misteriose presenze e di tragiche defezioni.
E che anch’io possa chiedermi che senso possa mai avere il dover stare così, di fronte alla notte, spogliati di ogni speranza, in attesa di riconoscersi, in questo silenzio, sapendo di aver tuttavia preparato minuziosamente questa situazione di straniamento totale. Sapere che allo stesso tempo tutta la nostra energia l’avremo forse spesa proprio nel progetto di un incontro impossibile in un posto in cui tutto sia stato voluto per questo silenzio e a noi non resti che andare, dal momento che la nostra stessa immagine, riflettendosi in quella dell’altro, susciterebbe altra paura.
La realtà sarebbe allora sempre in questo scenario vuoto dal quale tutti siano ormai fuggiti e nel quale, tornandovi, non s’incontrerebbero che desolate sembianze.
Lacerare questa impalpabile parete: come? Strappare via questo drappo teatrale che ci divide dalla vita, oltre la quale ogni giorno realizziamo la nostra solitudine, spinti, fuori dal territorio che ci siamo inventati, in questa terra di nessuno dal buio che è già nei nostri pensieri, riempie le nostre orecchie di ovattati richiami, ci stringe alla gola così che nessuno più possa ascoltare la nostra voce né capire il nostro silenzio.

Maria Froncillo Nicosia